Invito pubblico al confronto e spiegazione sulla storia dei degli Uberti

Come detto, invito ad un pubblico confronto on line (diffuso su testate giornalistiche) l’ignoto autore del blog diffamatorio:
 
“Pier Felice degli Uberti, la corsa per la nobiltà”
 
se lei è realmente interessato alla verità, è pregato di farmi sapere la sua disponibilità ed anche se lo desidera il nome di un moderatore (oppure se preferisce posso trovarlo io). Ma se è solo un incompetente mosso da invidia, ignoranza o interessi commerciali in questi studi, di certo declinerà il mio invito.
 
A differenza della massa dei diffamati che non risponde alle diffamazioni anonime, io vedo in ogni occasione una
buona opportunità per diffondere il mio pensiero. Per onestà culturale devo premettere che sono ben consapevole che sto rispondendo ad un anonimo, e che le informazioni ricevute su chi affermerebbe di essere, ovvero il signor Tudor Beldiman, nato a Bucarest il 1° novembre 1979, vivente a Bucarest, rivelano che starei discutendo con un amateur delle materie che vuole trattare, ovvero uno che non è mai stato membro di nessuna delle organizzazioni internazionali che lo possono riconoscere scholar in scienze documentarie della storia, quali l’AIG, l’AIH e l’ICOC, ed addirittura nel suo Paese, la Romania, è un perfetto sconosciuto per le associazioni di queste materie, nonché uno che non ha pubblicato mai un rigo sulle materie di cui parla.
Quindi mi dica, ma chi è lei per sentirsi in diritto di sostenere tesi non supportate da documenti, fondate su poche parole estrapolate e decontestualizzate anche da parti minime di miei scritti? Non sa che uno studioso deve documentare le sue affermazioni basandosi su plurimi documenti di Archivi di Stato e pubblicazioni scritte da esperti certificati, e non può raccontare pure menzogne, inventate per sostenere le sue tesi? La genealogia oggi non è più materia superficiale ed approssimativa come lei sta dimostrando di conoscere. E poi ancora come può permettersi di criticare l’operato di autorità statuali come gli Araldi di Stato nella sua piccola posizione di ignoto privato? Detto questo rispondo ben conscio che potrebbe essere invece una persona, magari italiana, per esempio uno che ama perseguitarmi da 2 decenni per motivi di invidia, ignoranza o interessi economici in queste materie, per me invece solo oggetto di studio accademico. Mi pare opportuno ripetere il pensiero del prof. Umberto Eco, quando nella lectio magistralis tenuta il 10 giugno 2015 all’Università di Torino, parlò dei social media di internet, confessando però che io personalmente preferisco frequentare i circoli esclusivi e non i bar…
Aspettando l’esito del mio invito all’anonimo, mi permetto alcune doverose precisazioni: il 10 aprile 2022 ho ricevuto il blog dal titolo Pier Felice degli Uberti, la corsa per la nobiltà leggibile a: https://ilgrandevecchio.wordpress.com/2022/04/08/pier-felice-degli-uberti-la-corsa-per-la-nobilta/.
Per il terrore di beccarsi una querela, oltre alla solita poca eroica soluzione di celarsi nell’anonimato utilizzando un nome non suo, nel tentativo di attenuare il pesante contenuto diffamatorio-calunniatorio l’ignoto autore infiocchetta il testo di lodi alla mia posizione di «esperto nazionale e internazionale in aree come il diritto nobiliare, la genealogia, l’araldica, gli ordini cavallereschi, i titoli nobiliari…» confermando: «E lo è». Poi dichiara di non accusarmi di «impostura», e di non volere fare un «attacco alla mia persona», e ancora alla fine riconosce come «incontestabili» le mie competenze. Ma di fatto, avendo posto ad ulteriore titolo del blog oltre «vera e falsa nobiltà» la citazione di Totò nel film «Signori si nasce», le sue ripetute lodi suonano piuttosto come collocabili all’insegna della comicità, palesando così il vero scopo, che sarebbe quello di provare a minare e screditare quella posizione da lui pure lodata di studioso. Valutiamo da chi viene questa costruzione finalizzata alla diffamazione per screditarmi davanti alle persone che non mi conoscono, scrivendo: «Ma l’interesse del presidente degli Uberti per tutte queste scienze ausiliarie della storia è dovuto, come in quasi tutti i casi di esperti in questi campi, a un desiderio appassionato di dimostrare che lui stesso è nobile».
Il diffamatore non è neppure a conoscenza di chi sono gli interessati oggi a queste materie, e dimostra una formazione passatista legata a stereotipi che non esistono più da decenni, riferendosi a quella generazione di persone che nacquero sotto il Regno d’Italia e vissero la loro esistenza durante i primi decenni della Repubblica Italiana. Dovrebbe invece sapere che la mia generazione è interessata alla vera storia di famiglia indipendentemente da chi erano i propri avi nella società, e soprattutto dovrebbe leggere le mie pubblicazioni per rendersi conto che parla di me senza sapere chi sono realmente, offrendo di me al pubblico una immagine totalmente distorta.
«In generale, il presidente degli Uberti è presentato come “il nobile Pier Felice degli Uberti, conte di Cavaglià, 15° barone di Cartsburn (Scozia), signore feudale di Benham Valence (Inghilterra)”. Ma è veramente così?»
L’ANONIMO avrebbe dovuto specificare cosa intendeva per “In generale”. Io frequento ambienti eterogenei e ovviamente le persone che mi presentano sono libere di farlo nei più svariati modi. Ma certamente con questa superficiale affermazione dimostra proprio di non frequentarmi perché tutti sanno che personalmente mi presento sempre solo con nome e cognome, per creare la massima confidenza possibile con tutti. È superficiale anche nelle storia delle organizzazioni che presiedo, e vedo che non approfondisce proprio i temi di cui parma: saprebbe ad esempio che sono quello che nell’International Commission for Orders of Chivalry – ICOC ha preteso di cambiare il modo identificativo dei commissioners, ovvero indicando solo nome e cognome; nessun titolo nobiliare perché non sempre lo Stato lo riconosce e non ci devono essere discriminazioni tra commissioner provenienti da Stati diversi; nessun titolo accademico perché le università nel mondo non sono tutte allo stesso livello. Gli stessi criteri li applico nelle associazioni italiane che presiedo! Le eredità incorporee della mia Famiglia e quelle acquistate da me, sono rigorosamente limitate a quegli organismi per pochi che ancora oggi danno valore a questi ricordi del passato: ovvero i Circoli esclusivi, le Corporazioni nobiliari di Nazioni dove la nobiltà è ancora riconosciuta e tutelata dalla Stato, e gli Ordini Cavallereschi, considerati un tempo nobilitanti.
L’ANONIMO continua: «In ciò che segue, dimostreremo il contrario; perché gli appassionati di storia, diritto nobiliare, araldica, genealogia, ordini cavallereschi, titoli nobiliari… – hanno il diritto di sapere. E la nostra dimostrazione si baserà, in gran parte, sulle proprie parole del presidente degli Uberti stesso».
Ha avuto una folgorazione divina? Ma chi gli ha dato il mandato di pontificare? Dove sono le sue credenziali per parlare? O ci troviamo difronte ancora al solito discorso fatto al bar, dove a nessuno interessa quanto ha voluto dire? Se non fosse così parlerebbe con la sua faccia certificata, mostrando coraggio e lealtà di modo che io non possa fare le considerazioni che sto facendo. Se avesse voluto prodursi in una vera dimostrazione storico-scientifica, avrebbe dovuto basarla SOLO sui documenti, e se desiderava dimostrare il contrario delle affermazioni di degli Uberti, avrebbe dovuto studiare i documenti storici e giuridici (che mi sono permesso di indicare alla fine di questo blog), ma forse non ricorda che: “verba volant, scripta manent”, e preferisce usare parole al vento prive di qualunque valore nella realtà.
Edifica un blog che vuole smontare uno Scholar, senza nemmeno inserire una nota a piè pagina… e qui, citando (come lui) Totò e parlando dal “banco degli amputati”, privati della verità scientifica, gli dico: “ma mi faccia il piacere!”, ripetendo la famosissima risposta di Totò difronte ad affermazioni lontane dalla verità.
Che senso possono avere, oltre alle affermazioni non documentate o fondate su travisamenti delle mie parole, i giudizi in campo morale che si permette di esprimere una persona che dimostra col suo stesso comportamento ANONIMO di non conoscere certi principi di correttezza che vengono insegnati in famiglia?
Nel testo oltre a fare affermazioni completamente false che vedremo, attribuisce a me o alla mia tradizione familiare l’affermazione che la mia famiglia sia nobile (la nobiltà dei degli Uberti-Ubertis di Casale Monferrato è sostenuta da storici del passato e contemporanei); estrapola pezzi di miei articoli stravolgendone il senso, giungendo ad accuse di “usurpazione d’arma”, dipingendomi pertanto come un «grande esperto» che accetta per sé tali usurpazioni, non conosce il diritto nobiliare del Monferrato e del Principato del Piemonte e si muove con l’aggettivo di «puerile» in queste materie, essendo per di più anche «volgare e di cattivo gusto» per avere comprato dei titoli feudali britannici, in sintesi «un nobile artificiale, fabriqué de toutes pièces».
Penso che non si renda conto che sta offendendo anche grandi e nobilissime Famiglie che come me hanno acquistato proprietà feudali nel passato ottenendo così titoli nobiliari che sono stati riconosciuti dal Regno d’Italia, cito solo 3 Famiglie della mia città Casale Monferrato: i Morelli di Popolo e Ticineto, i Biandrà di Reaglie, i Gozzani di Treville e San Giorgio. Si ricordi che la mia proprietà feudale in Inghilterra, Benham Valence, è registrata in the H.M. Land Registry; mentre per la Barony of Cartsburn il Lord Lyon del Regno di Scozia, l’autorità araldica che a nome di S.M. la Regina riconosce e concede gli stemmi, riconosce le genealogie, le dignità nobiliari e feudali, mi ha riconosciuto come Pier Felice Alberto Renato degli Uberti, baron of Cartsburn, e mi sembra che su questo l’ANONIMO dovrebbe solo tacere non avendo alcuna autorità in merito. Le sue accuse sono kafkiane e divertenti per uno studioso come me che ha impostato tutta la sua missione nel riportare a dignità di scienze queste materie, ridimensionando proprio l’utilizzo della parola “nobiltà” in Italia dove dall’avvento della Repubblica Italiana essa non esiste, ma l’ANONIMO probabilmente auspica che nella massa dei lettori (ha postato il blog in vari siti) qualcuno creda e sostenga le sue assurdità, mirando a minare la mia autorevolezza di scienziato.
Ma se con il suo blog l’ANONIMO sogna di destare interesse e recarmi finalmente discredito, deve anche sapere che i miei estimatori non vi daranno peso, e i miei detrattori per qualche minuto gongoleranno per poi scoprire di trovarsi con nulla nelle mani. Ma forse a lui basta cercare di infangare. Il blog ripercorre senza fantasia le chiacchere di altri anonimi attacchi diffamatori (alcuni conclusisi con condanne degli autori con sentenze di tribunale).
È regola mai rispondere alle diffamazioni di un ANONIMO, ma io sono sempre differente dalla massa, e avendo ora la grandissima possibilità di poter esprimere a 360° ancora il mio pensiero non mi perdo certo questa ottima opportunità! Le elucubrazioni dell’ANONIMO indicano un vero Scholar a concludere che dimostra incompetenza araldica, genealogica e di storia del diritto nobiliare, evidenziando una mancanza di studi di queste materie a carattere accademico, e la sicura assenza di almeno un master conseguito dopo la laurea magistrale in Università di Paesi dove la nobiltà è riconosciuta e tutelata dallo Stato. Dico questo perché con un titolo accademico avrebbe potuto almeno imparare le modalità per scrivere una disamina dall’apparenza accademica. Ricordo che tutti gli Scholars sanno che riferendosi a queste materie, non basta il solo titolo accademico per considerarsi esperti, ma è necessaria anche l’appartenenza ad indiscusse Accademie Internazionali come quella di Araldica, o di Genealogia, e magari essere per completezza Commissioner della Commissione Internazionale per lo Studio degli Ordini Cavallereschi. Si tratta di ben note organizzazioni private composte dai maggiori studiosi del mondo, e se vi si chiedete perché tutte hanno carattere privato senza la validazione di uno Stato vi spiegherò che quella che potrebbe apparire una diminuzione, nella realtà è proprio la dimostrazione che sono veramente organismi scientifici supra partes, perché se fossero legati al riconoscimento di uno Stato potrebbero far mettere in dubbio questa superiorità culturale. Chi non segue questo percorso che ho indicato oggi a differenza del passato non trova credito fra gli Scholars del mondo.
L’autore del blog diffamatorio come si può leggere è ossessionato dalla nobiltà e la vive in una dimensione astratta e romanticheggiante che nulla ha a che fare con la realtà storica, usando questa sua visione arcaica per discreditarmi nelle mie capacità di scienziato e dimenticando che sono forse l’unico in Italia che ricorda sempre che la nobiltà nella Repubblica Italiana giuridicamente non esiste, tanto è vero che con il Duca de Vargas-Machuca abbiamo trasformato l’associazione Unione della Nobiltà d’Italia – UNI fondata nel 1986 in Famiglie Storiche d’Italia – FSI, e poi nel 2011 con l’Arciduca Giuseppe Carlo d’Asburgo-Lorena Historical Families of Europe – HFE. Ma non solo, oggi – in ambito privato – penso a dar vita a ICOC CERT, dove dopo uno scrupoloso esame della documentazione fornita, verrà consentito di certificare in maniera univoca, ovvero non modificabile né falsificabile, sia lo stemma che la propria genealogia avvalendosi della tecnologia blockchain e di tecniche crittografiche asimmetriche su rete Bitcoin. Ogni certificato avrà inoltre un proprio QR Code che incorporerà la firma digitale e sarà verificabile tramite l’app scaricabile dal Play Store o dall’Apple Store.
PREMESSA
Nel ringraziare ancora l’ANONIMO diffamatore per darmi la possibilità di divulgare maggiormente il mio pensiero di studioso certificato, per mio modus operandi manterrò nella discussione quel serio rigore scientifico che mi ha spinto da decenni verso lo studio di materie bistrattate e considerate da secoli prive di attendibilità scientifica, ma che purtroppo interessano molte persone del genere di questo ANONIMO. Ormai so bene che la mia autorevolezza ha creato e crea scontento non solo nei falsificatori di genealogia, nei falsi gran maestri, nei sognatori ossessionati da una idea fasulla della nobiltà, ma soprattutto in certuni che, avendo impostato il loro business sulla “nobiltà”, si sentono minacciati dal mio demitizzare le loro teorie riportando i loro potenziali clienti alla cruda realtà dei fatti. Del resto ho demitizzato tantissimi argomenti che dalla caduta della Monarchia sono stati sostenuti da figuri che avevano il solo scopo di guadagnare sulla credulità ingenua di persone non avvezze a questi studi. Così potrò qui offrire ancora una volta la possibilità agli interessati alla verità scientifica di trovare vantaggi per lo studio della storia di famiglia ed evitare di buttare via soldi a beneficio di truffatori.
Ma perché l’ANONIMO (o lui con la sua claque) è così arrabbiato nei miei confronti al punto di perdere ore e ore per costruire un blog dedicato a me, postandolo freneticamente anche in altri siti (non tutti seri), incentrato su un argomento realmente obsoleto: nobiltà e titolature di Pier Felice degli Uberti sia in Italia che all’Estero? Argomento che se ci pensiamo non interessa proprio a nessuno…
È probabile che si senta danneggiato dalla mia autorevolezza al punto da cercare di minarla. Il mio racconto vi darà la possibilità di giudicare da soli se vale la pena perdere così inutilmente il proprio tempo…
Certo se vivessi durante il Regno d’Italia (dove sino a 75 anni fa la nobiltà aveva rilevanza giuridica), e se vi fosse ancora una situazione storica diversa dal nostro attuale tempo, che nella quasi totalità delle persone è disinteressato al riconoscimento nobiliare (non si sa più cosa sia), forse lo avrei richiesto, e se non l’avessi ottenuto (la nobiltà è una mistura di diritti storici ed opportunità politiche), ovviamente (dopo aver utilizzato tutte le possibilità offertemi dalla legge per contrastare un eventuale parere negativo), da buon cittadino mi sarei attenuto alla decisione dello Stato e l’avrei accettata perché credo nell’autorità dello Stato.
Se il blog lo avesse scritto con il suo vero nome e cognome uno Scholar di queste materie, mi avrebbe anche fatto piacere, ne avremmo potuto discutere con educazione, e se mi avesse convinto che le sue argomentazioni erano giuste, come ho fatto altre volte nella vita, avrei anche cambiato parere, perché per me la verità scientifica è quel valore di riferimento della più grande importanza.
Ma qui purtroppo ci troviamo davanti a quello che, nel migliore dei modi definirei un amateur che ha letto malamente o non sa o non vuol leggere i miei scritti (nel blog cita una pubblicazione che inizia nel titolo con la parola Appunti genealogici sulla Casata degli Uberti. In lingua italiana la parola “Appunti” indica una nota sommaria o meglio nota sintetica. Si tratta di un articolo realizzato nel 1986 per supportare a richiesta del mio caro amico il dott. Lorenzo Caratti di Valfrei, la sua opera che tratta la nobiltà in Monferrato, conservata nell’Archivio di Stato di Alessandria.
Sono convinto che si può dissentire dal mio modo di pensare sul tema nobiltà, ma ogni mia affermazione viene provata con rigore scientifico. Ovviamente se ci fosse un disaccordo documentato sarei pronto a discuterne, ma lo farei solo con uno studioso certificato perché chi mi conosce sa bene che ho poco tempo da perdere e non posso certo buttarlo via inutilmente quando capisco che i motivi del dissenso travalicano la luminosa ricerca della verità storica, e affondano in oscure motivazioni che lo stesso ANONIMO non ha il coraggio di rivelare, forse vergognandosene.
attacchi informatici contro Pier Felice degli Uberti ED ALTRI STUDIOSI
Questo blog è l’ultimo degli attacchi informatici alla mia persona, avvenuto poco dopo averne subito altri da quando i miei amici hanno voluto che fossi visibile sui social (ma questo è un altro argomento).
Come ho già scritto altrove, dal 1988 quando sono diventato Secretario General della Junta de Italia dell’allora Asociacion de Hidalgos de España, e maggiormente quando ho dato vita – con i miei amici – all’Istituto Araldico Genealogico Italiano – IAGI sono iniziati attacchi alla mia persona proprio per la serietà innovativa in questi studi dell’associazione che abbiamo costituito a evidente carattere scientifico, che promuove una realtà molto diversa da quanto vediamo in altre organizzazioni: a questo si aggiunge il lavoro svolto dalla nostra prestigiosa rivista Nobiltà che, essendo attuale e pragmatica e diffusa in tutti gli ambienti dei seri addetti al lavoro, dà grande fastidio a quegli interessati definibili come falsari, pataccari, persone che guadagnano indebitamente nel settore delle scienze documentarie della storia vendendo sogni anche a caro prezzo, o semplici invidiosi incapaci di fare altrettanto, e aggiungo alla lista ancora quei pochi che ho dovuto allontanare perché troppo lontani dal mio modo di pensare, strettamente connesso alla realtà della nostra contemporaneità di tutti i giorni, e al rispetto delle leggi della Repubblica Italiana. Fra gli attacchi diffamatori (che alla fine mi han sempre portato del bene!) ricordo quello avvenuto alle ore 12,30 del giorno di Natale del 2007 a 2 mesi dalla morte di mio Padre quando comparve in un blog una poesia dedicata a me e a mia moglie dove un ANONIMO trasformava il titolo di Conte di Cavaglià in Conte di Canaglia, affermando che eravamo fortunati a non avere figli perché sarebbero stati tarati. Il signor GC. M. D.P ottenne come risultato dopo essere stato beccato dalla Polizia Postale, la condanna del giudice di primo grado (non si è appellato) del Tribunale di Novi Ligure, regalandomi una sentenza emessa da un Tribunale della Repubblica Italiana che mi identifica, anche se non compariva né il mio nome (Pier Felice) né il mio cognome (degli Uberti o Ubertis), come Conte di Cavaglià. Un ennesimo dono offertomi da un vano tentativo di diffamazione.
Ci tengo a precisare che non si tratta di una impossibile (nella Repubblica Italiana) sentenza nobiliare. La costante di tutti questi attacchi è sempre stato l’anonimato e questo la dice lunga sulla piccolezza umana e la problematicità di qualcuno che vorrebbe fermare il mio percorso di successo nella difesa della verità, nello smantellamento dei falsi sogni e nel tentativo di cambiare finalmente un ambiente di studi che ancora veniva definito non tanto tempo fa il “Mondo dei creatori di fiabe”.
Questo attacco non mi sconvolge come forse vorrebbe l’ignoto autore, perché ho coscienza che è il normale prezzo da pagare alla realizzazione di un progetto italiano che non ha eguali, ed ha dimostrato di essere veramente valido: è il prezzo del successo! Del resto reazioni di questo tipo son tipiche di persone che preferiscono vedere la realtà nella loro forma distorta disconoscendo la verità storica, come conferma la reazione sdegnata del diffamatore sul tema della vendita dei titoli nobiliari, fatto ben noto a tutti gli storici ma rifiutato di chi, vivendo fuori dai residui del mondo nobiliare ha della nobiltà una visione astratta ed alterata. Devo ricordare che i titoli feudali sono sempre stati venduti ed acquistati per tutta la feudalità, e anche molti titoli nobiliari sono stati concessi dietro ad una parvenza di acquisto come può essere la costruzione di una chiesa ecc. Per porre nella giusta collocazione questo genere di attacco farò quindi un confronto ripercorrendo uno stralcio di storia di altri attacchi verso grandi studiosi di queste materie che (non potendosi smontare la loro serietà) hanno visto emergere leggende che ad uno sprovveduto potrebbero apparire infamanti, ma che (come ho detto) nella realtà sono solo il prodotto dell’invidia e il prezzo che ogni persona vincente deve pagare per il suo successo in ogni settore della vita umana, benché insufficiente a placare la frustrazione dei perdenti. Inizio ricordando quanto disse il mio maestro Vicente de Cadenas y Vicent nel pranzo celebrativo del 25° anniversario di nascita della sua rivista Hidalguia nel lontano 1978, e quando nel 1993, nell’augurarmi di non dover ripetere la sua amara esperienza, volle ricordare i tanti attacchi subiti per tutta la vita ad incominciare da quello riferito all’essere hidalgo (ovvero nobile) che i suoi numerosi nemici non volevano riconoscere, nonostante esista l’esecutoria d’hidalguia attinente i suoi diretti antenati o discutendo sulla validità del titolo comitale carlista del fratello benché riconosciuto dallo Stato! Misero in dubbio persino chi fosse il vero padre, dissero che la madre viveva in una modesta condizione sociale (mentre la famiglia era ben più che benestante), osarono affermare che Vicente non aveva frequentato studi universitari, e persino insinuarono che neppure fosse legalmente il Cronista de Armas prima dello Stato Spagnolo e poi del Regno di Spagna! Vicente concludeva sorridendo che l’unica cosa che nessuno poteva smentire era il fatto che fosse stato falangista da tutta la vita…
E si potrebbe anche ricordare cosa dicevano altre organizzazioni private italiane sul valore delle Certificazioni d’Arma, quando venivano equiparate al niente, anche se per fortuna vi fu chi non dette peso a queste calunnie ed oggi si trova un tesoro fra le mani, in quanto in Italia il riconoscimento araldico della famiglia o della persona è impossibile. Chi come me ebbe la fortuna di conoscere il grande de Cadenas sa benissimo chi realmente fosse nella società, un uomo che seppe costruire l’unica associazione nobiliare del mondo con opere sociali: un Collegio universitario, 2 case di riposo (oggi 3), ed una Casa editrice di Scienze Documentarie della Storia anch’essa unica nel mondo. Non voglio dimenticare neppure la fondazione della più antica Scuola di Genealogia del mondo, o il più antico Instituto International de Genealogia y Heraldica, o l’Instituto Salazar y Castro. E mi permetto di ricordare che la Real Asociacion de Hidalgos de España è l’unica associazione nobiliare del mondo, che si è sempre comportata come la nobiltà dovrebbe saper fare!!!
Chi conosce la storia dei personaggi che hanno studiato e scritto sulla nobiltà in Italia, non può dimenticare neppure gli attacchi sulla famiglia del Duca Don Agostino Lucio de Vargas Machuca (Napoli, 1864-1936), marchese di S. Vincenzo, 25° Signore di Vargas, 7° duca de Vargas Machuca, 18° conte di Urgel, 10° marchese di Vatolla, 10° conte del Porto, 12° Signore di Varguillos, conte del S.R.I., la cui nobiltà era indiscutibile e pienamente riconosciuta dal Regno d’Italia, ma nonostante questo i suoi nemici diffondevano la diceria che la sua fosse una famiglia ebrea venuta nel secolo XVIII a Napoli.
Ed essendo piemontese del Monferrato ricordo ancora che da bambino per denigrare quel gentiluomo che fu il principe don Emilio Guasco Gallarati di Bisio, marchese di Francavilla, conte di Frascaro, signore di Bisio, nobile, patrizio d’Alessandria, marchese di Bisio, le male lingue ignoranti in diritto nobiliare, dicevano che quel titolo principesco non gli competeva per carenza documentale, nonostante l’iscrizione del titolo nel Libro d’oro della nobiltà italiana.
Oppure potrei citare le calunnie nei confronti di Guy Stair Sainty, uno dei più grandi studiosi degli ordini cavallereschi del mondo apparse su internet… o il blog che per invidia e malvagità diffama i più importanti studiosi di queste materie con argomentazioni realmente naif, e potrei ancora aggiungere tanti altri casi.
Teresah (Teresa Corinna Ubertis Gray 1874-1964)
perché QUESTO BLOG DIFFAMATORIO CONTRO PIER FELICE DEGLI UBERTI?
Tornando agli attacchi che mi riguardano, questo non sarà certo l’ultimo di una serie di tentate diffamazioni provenienti da individui che ho cacciato lontano dalla mia persona per i più svariati motivi e che (se si ha la pazienza di ricercare) si possono ritrovare tutti ancora su internet, per il semplice fatto che non li ho mai fatti cancellare, essendo da sempre profondamente sicuro sia di me stesso che della bella storia della mia Famiglia.
Mi sono chiesto se valeva la pena rispondere ad una persona che evidentemente non ha il coraggio delle sue azioni e pur permettendosi di lanciare giudizi morali (mi riferisco all’acquisto e vendita di titoli feudali) non dimostra certo una adamantina moralità preferendo vivere nella menzogna assumendo false identità, celandosi nell’anonimato e rivelando con questa scelta di nutrire dubbi lui stesso sulle sue affermazioni, quando invece in una discussione accademica purché non ci si offenda avrebbe avuto il diritto di palesare le proprie opinioni permettendo il contradditorio.
Purtroppo come nota Umberto Eco, su internet hanno voce tutti, cosa splendida per l’utilità offerta di poter affermare al grande pubblico le proprie opinioni, ma non così quando si fanno discussioni senza vera base scientifica.
Quando sui blog leggo attacchi anonimi contro studiosi delle più svariate materie, mi chiedo perché esistano persone che non hanno il coraggio di esprimere con il loro nome e cognome il loro pensiero, dimostrando di essere i primi a nutrire dubbi sulle proprie insinuazioni e di avere qualcosa da nascondere.
Eppure viviamo in un Paese dove la libertà di pensiero è tutelata. Sono perfettamente conscio che non piaccio a tutti, e in questa categorie ci sono: falsari di genealogie e documenti (organizzo ogni anno un convegno dove inserisco le falsificazioni documentali), megalomani (che sanno bene che non do alcuna importanza ad onori del passato privi di riconoscimento giuridico), invidiosi (quel numero di persone che non si rende conto che un lavoro come quello che svolgo con l’indispensabile aiuto di mia moglie richiede un sacrificio oltre misura per ottenere i miei importanti risultati) e, come ho già detto persone con secondi fini in questi studi anche solo di interesse economico.
La diffamazione anonima è la rappresentazione del codardo che tira il sasso mentre nasconde la mano, una persona (o un pool di persone) che sarebbe in grado di commettere qualunque azione criminosa fidando nell’impunità. Però per mia esperienza ho sempre rilevato che l’attacco ANONIMO è firmato perché l’autore o gli autori perdono nell’enfasi il controllo, lasciando tracce ed indizi che alla fine ne rivelano l’identità. Diverso invece è il caso di pubblicazioni e libri firmati con il vero nome e cognome del loro autore, editi per distruggere con i veri documenti le fantastiche pretensioni di persone che hanno ingannato il pubblico con le più assurde o megalomaniche affermazioni di carattere storico; queste sono pubblicazioni veramente utili perché ristabiliscono con corretta scientificità il rispetto della verità, fornendo precise informazioni a coloro che non hanno la possibilità di approfondire una tematica genealogico-nobiliare.
RISPOSTE E CONSIDERAZIONI SU TEMATICHE IMPRECISE E AFFERMAZIONI FALSE
L’aspetto positivo di questa diffamazione, lo ripeto, è che mi permette di divulgare maggiormente il mio pensiero su queste tematiche per fare meglio capire ai lettori la realtà del nostro tempo riferita a quella che era la tematica nobiliare. Solo per rispetto verso i lettori ho deciso di dare qualche risposta. Per l’esaustività del tema trattato dal diffamatore cerco di non ripetere quanto ho già più volte scritto rinviando alle mie chiare pubblicazioni, che se lette correttamente spiegano dettagliatamente tutto quanto è stato distorto a scopi sensazionalistici e con false affermazioni inserite ad arte.
La nobiltà, come già ripetutamente detto, esisteva solo se veniva riconosciuta dallo Stato, e per riconoscimento nobiliare si deve intendere il permesso di far uso all’interno di quello Stato di un titolo nobiliare dietro il corrispettivo di una tassa che è equipollente a quanto oggi è l’abbonamento alla Radio Televisione, o alla licenza di pesca o di caccia (ma potrei fare altre decine di esempi di tasse).
In alcuni Stati dove la nobiltà è ancora tutelata e riconosciuta recentemente sono cambiate le leggi successorie, ad esempio stabilendo che il primo nato indipendentemente dal sesso è il futuro titolare delle titolature nobiliari. Ebbene, pensateci bene, questo non è null’altro che un permesso d’uso stabilito dal Sovrano in accordo con le leggi civili dello Stato, perché nessun Sovrano può mutare la carta di concessione di una nobiltà o di un titolo nobiliare senza creare una nuova concessione nobiliare, e allo stesso modo in ogni momento della storia potrebbe essere modificata la successione nobiliare con la mutazione della legge civile.
Quindi l’esistenza o meno della nobiltà è soggetta alle leggi dello Stato che possono cambiare, offrendo nel tempo soluzioni diverse. Ritornando al Regno d’Italia nel 1926 venne mutata la legge che aboliva la successione femminile per i titoli napoletani e siciliani, privando così molti eredi presuntivi di titolature cadute in successione poi a persone che avevano minor diritto in base alla concessione del titolo.
Non dimentichiamo poi che esisteva la discrezione Reale nel riconoscimento della nobiltà, o la Rinnovazione, o anche il riconoscimento su diversa interpretazione; per esempio ricordo il caso nella Città di Casale Monferrato di una famiglia che durante il Regno di Sardegna venne ammessa per grazia nell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (quando richiedevano ancora le prove nobiliari) perché ritenuta non nobile; ma durante il Regno d’Italia ottenne invece il riconoscimento della nobiltà con decreto ministeriale, quindi per giustizia.
Se la documentazione era la stessa, cosa era cambiato? L’opportunità o la benevolenza del Sovrano o del Governo. Quindi i veri storici sanno che l’esistenza o meno della nobiltà in una famiglia è un concetto veramente labile e soggetto a varie interpretazioni e mutazioni. E non tratto qui le tante falsificazioni documentali che permisero a certe famiglie di avere il riconoscimento della nobiltà.
 
DA UBERTIS IN degli UBERTI
Chi mi ha attaccato per ignoranza, invidia o malafede ha cercato di farlo iniziando sempre con il solito Leitmotiv caro a tutti i falsari (la cui forma mentis fa loro distorcere la semplice realtà per interpretarla a proprio uso e consumo) e così rivela, con l’aria di smascherare chissà quale segreto, quanto io per primo amo sempre ricordare ovunque, anche perché non contiene nulla che possa discreditarmi, e semplicemente narra la storia della mia Famiglia che ha visto nei secoli (come tante famiglie in Italia e all’estero) l’alternanza grafica del cognome in latino e in italiano: non è certo un segreto, perché io stesso sono sempre orgoglioso di ricordare che il mio cognome di nascita è Ubertis, perchè il mio quadrisavolo Giacomo Francesco Ubertis venne registrato così nel 1783 nell’atto di nascita e battesimo, nonostante che il padre fosse Giuseppe Felice de Ubertis, e così lo erano i suoi fratelli e sorelle e i suoi ascendenti in tutti gli atti latini, mentre in quelli in lingua volgare italiana avevano contemporaneamente la dizione de li Uberti, oppure delli Uberti (come si può vedere anche nell’Alberto Genealogico del 1° gennaio 1800  che ho pubblicato qui in basso).
Chi mi frequenta è a conoscenza del motivo della rettifica (correzione di atto di stato civile effettuato in accordo alla legge che nulla – anche durante il Regno d’Italia – avrebbe a che fare con la nobiltà) che fu suggerito da un grande amico di Famiglia il professore avvocato Salvatore Guerrera Rocca, che era pronipote per affinità della sorella del mio bisnonno, che chiese a me e a mio Padre perché noi che eravamo conosciuti da tutti come degli Uberti, continuassimo ad usare il cognome mutilo latino Ubertis.
Dopo varie discussioni sul tema e il mio interesse mio Padre finalmente si convinse che avremmo dovuto correggere il cognome nella dizione in lingua italiana e nel 1977 ci rivolgemmo al Tribunale di Casale Monferrato per correggere il cognome.
Quindi l’affermazione del mio diffamatore che ho cambiato il cognome da “Ubertis” in “degli Uberti è completamente falsa, perché non si è trattato di un cambio di cognome, ma – lo ripeto – di una semplice banale rettifica (correzione) dello stesso cognome ai sensi della legge Regio Decreto 9 luglio 1939, n. 1238 – Ordinamento dello stato civile. (Pubblicato nel S.O. alla G.U. 1° settembre 1939, n. 204 ed emanato in virtù della delega conferita con la Legge 30 dicembre 1923, n. 2814 e con l’art. 3, Legge 24 dicembre 1925, n. 2260).
Cosa che non ha nulla a che vedere con la nobiltà della Famiglia, per giunta in un Paese dove la nobiltà non ha rilevanza giuridica.
Senza andare molto lontano basta guardare uno degli antichi alberi genealogici della mia Famiglia, quello che segue è del 1° gennaio 1800, e vi si vede riportato dall’estensore l’uso del cognome sia in latino che in italiano: nella prima riga in alto “Albero genealogico della Famiglia delli Signori Fratelli Bernardino e Canonico Francesco Antonio Ubertis (in latino) di Frassineo del Pò” e più sotto il capostipite indicato che è Vespasiano delli Uberti (in italiano).
 
Ricordo che gli Ubertis (o meglio i de Ubertis) di Casale Monferrato sono l’unico ramo che ha mantenuto l’antico cognome della Famiglia nella lingua colta latina pur alternandolo – lo ripeto – nel corso dei secoli nei documenti colla dizione italiana delli Uberti (il tentativo diffamatorio rivela, se non è fatto in totale malafede, la oggettiva incompetenza sull’uso scritto dei cognomi nei secoli passati, dovuta anche ad ignoranza della lingua latina). Non vedo perché parlando e scrivendo nella mia contemporaneità in lingua italiana, io debba continuare ad usare il mio cognome nella sua dizione latina, del resto per fare un esempio le grandi dinastie degli Asburgo-Lorena e dei Borbone «in Spagna usano de Habsburgo e de Borbon; in Francia de Habsburgo e de Bourbon, e se dovessero utilizzare la versione latina sarebbero indicati come Habsburgum e Borbonius senza che nessuna persona di cultura trovasse strano questo uso.
In Italia chi conosce la storia dei cognomi sa bene che erano generalmente scritti in latino, e poi nell’800 tradotti in italiano, e le correzioni dei cognomi avvenivano comunemente. Del resto per quale ragione entrò in vigore il Regio Decreto 9 luglio 1939, n. 1238? Ovviamente proprio per correggere gli errori cognominali, come avvenne per l’importante Famiglia de Vargas Machuca che usava il cognome nella forma de Vargas Macciucca (vi sono rami della stessa che ne continuano l’uso); de Rubeis attualmente tradotto o meglio corretto in de’ Rossi e ancora de Sanctis in dei Santi. Qualora non fosse in totale malafede, l’ANONIMO diffamatore dimostra comunque di non aver capito quanto io stesso ho scritto chiaramente nel mio completo Editoriale “Il Cognome: differenze fra cambio, aggiunta e rettifica (una semplice correzione che non lo muta)” apparso sul numero 159 della rivista Nobiltà alle pagine 559-566 del numero di novembre-dicembre 2020 e visibile a: http://www.iagi.info/wp-content/uploads/2020/11/159editoriale.pdf confermando così la totale ignoranza della storia dei cognomi nella lingua italiana e conseguentemente della legge italiana quando commenta: «Lasciando da parte le differenze inventate ad hoc da lui – “cambio”, “aggiunta”, “rettifica”», perché chi si occupa di queste materie conosce bene che questi termini corrispondono ad effettive differenze giuridiche fra i vari casi, che rivestono appunto diverso peso giuridico. Mi permetto di pubblicare ancora 2 chiari documenti che dimostrano come nello stesso atto il cognome venisse pubblicato nella forma latina, sia quella completa (de Ubertis) che quella mutila (Ubertis). Basta leggere:
V. De Conti, Notizie storiche della Città di Casale e del Monferrato, Vol. 3, Casale, 1839, particolare di p. 276; dove si legge: “erano senatori Enrietto Della-Sala, Antonio Ubertis e Antonio Riccobono”
Manoscritto originale conservato nell’Archivio de Conti, presso la Civica Biblioteca Giovanni Canna di Casale Monferrato, usato da Vincenzo de Conti, per scrivere la predetta pubblicazione dove invece chiaramente si legge: “Coram nobilibus Henrieto de la Sala, Antonio de Ubertis, et Antonio de Riccobonus Senatoribus Testibus”
Come si vede nel manoscritto latino il cognome è indicato sempre nella forma de Ubertis, mentre nel libro in italiano lo si trova indicato come Ubertis omettendo il de (benché anche nella sua fonte compaia come de Ubertis), proprio perché il de Conti sapeva trattarsi della stessa famiglia, a lui e ai suoi parenti ben nota. Ricordo solo che Antonio de Ubertis fu anche ammesso nel Consiglio Nobile di Casale Monferrato proprio nel 1484, magistratura che era raggiunta solo da chi era in grado di provare 300 anni di more nobilium con eventuali 20 sanabili per mancanza
 
Invece sull’ascendenza comune con i degli Uberti di Firenze, non sono stato io a cercarla, ma me la sono trovata in casa, perché sono gli storici del passato a parlarne! Io da scienziato che ama rivisitare le certezze degli studiosi del passato alla luce delle nuove conoscenze mi sono sempre limitato a dire che si tratta di una antica tradizione familiare, non dando peso ai tanti indizi che in altri tempi per gli studiosi sarebbero stati considerati prove certe. Quello che rilevo da sempre è che nell’immaginario collettivo il mio cognome degli Uberti è così bello, e legato ad una storia così importante che desta l’invidia e la gelosia di certi figuri che non gradiscono che io possa portare tale bellissimo cognome.
Ricordo da ragazzo una polemica sorta su di un personaggio di rilievo che chiese al Presidente della Repubblica l’aggiunta “degli” al suo cognome Uberti, giustificandola con il fatto che tutti i suoi famosi parenti lo portavano. L’illustre personaggio si trovò ad essere attaccato da giornali a tiratura nazionale costretti a pubblicare una settimana la notizia, per poi smentirla la settimana seguente. Ricordo poi che la tradizione dell’ascendenza dai degli Uberti fiorentini per il ramo di Casale Monferrato è ricordata da Goffredo di Crollalanza, ed era un fatto notorio nella provincia di residenza della Famiglia, come si può leggere nella pagina seguente in Alexandria, la rivista della provincia che commemora nel 1936 Luigi Ubertis.
Dominus Farinata de Ubertis Sue Patriae Liberator
G.A. Farinati degli Uberti, Ricerche Storico Genealogiche sulla Famiglia degli Uberti, p. 198
ALEXANDRIA Rivista Mensile della Provincia, anno IV - n. 8 agosto 1936
Pur continuando da studioso contemporaneo a considerare quella della mia Famiglia come una tradizione storica, mi sembra opportuno riportare una dimostrazione del pensiero comune che gli abitanti della mia città, Casale Monferrato, hanno sempre avuto nei confronti della storia della mia Famiglia: la mia caricatura apparsa quando avevo solo 25 anni, sul giornale locale Il Monferrato del 12 aprile 1980, dove a pagina 2 nella poesiola illustrativa della mia persona si scrive “A te dico qui in entrata:/ il signore ch’ho schizzato/ con quel grande Farinata/ ghibellino ed esiliato/ che canto pur l’Alighieri/ pare certo imparentato/”.
La poesiola continua con:
Per non darti gran pensieri/ gli ho pure disegnato/ una targa esplicativa/ della grande attività/ culturale e positiva/ che or tutta la città/ riconosce e gli apprezza./ Ei per questo è ben felice/ ed infatti con chiarezza/ il suo nome ben lo dice/ (pur se quello Delle Vigne/ getta un’ombra pur se insigne)./ Tutti i dati ti ho offerti ;/ tu puoi dire: è D… U…”
Lo storico giornale della mia città, a partire dagli anni ‘20 del secolo scorso ha sempre pubblicato una volta alla settimana un personaggio in vista della città con lo scopo di presentarne le qualità ai cittadini e al tempo stesso con l’intento che venisse riconosciuto dai lettori del giornale. Come succede in molte città di provincia l’essere rappresentati nella rubrica “Profili Cittadini” è sempre stato considerato un importante onore riservato a coloro che si distinguono nei vari campi delle loro attività.
Interessante è pure che sebbene i caricaturisti fossero a quel tempo 3 persone, l’autore della mia caricatura fu proprio Idro Grignolio (1922-2011), che fu dirigente del Comune di Casale Monferrato, ed è da tutti considerato a ragione per le sue numerose pubblicazioni di storia del Monferrato (oltre 50) sui più svariati temi di argomento storico locale, il benemerito storico della città.
Questa mia caricatura deve servire a dimostrare l’ignoranza del mio ANONIMO diffamatore che solo per un ingiustificato scopo denigratorio si è permesso di scrivere (nonostante abbia letto tanto sulla mia attività pubblica in ambito culturale) di importanti fatti legati alla tradizione della mia Famiglia. Ricordo che ci si può permettere di parlare di una Famiglia solo quando ci si è documentati con le fonti ed intendo i libri pubblicati nei vari secoli, ma anche dopo un controllo negli Archivi religiosi, civili e di Stato, senza fare elucubrazioni solo perché una persona potrebbe essere antipatica o in contrasto con il proprio modo di pensare. Ecco perché non credo che la sola ragione di un simile blog sia l’allontanamento da un forum di discussione, ma c’è dell’altro che non si ha coraggio di raccontare… Come si può ben vedere si è perso tempo nell’allestire una inutile diffamazione che sono certo non è creduta neppure da chi l’ha scritta. Voglio sottolineare che non passa giorno della mia vita senza il mio sentito ringraziamento al buon Dio per avermi regalato questa Famiglia, mia Moglie ed una vita meravigliosa che mi ha permesso di raggiungere tutti gli obiettivi che mi sono proposto. Come già detto il tenore del blog in questione ha intenti altamente diffamatori, e profondendosi in lodi delle mie qualità di esperto (solo per evitarsi una querela), vuole di fatto intaccare la mia immagine di serietà goduta a livello mondiale. Ricapitoliamo alcuni spunti dell’ANONIMO:
 
1) «Considerato un esperto nazionale e internazionale in aree come il diritto nobiliare, la genealogia, l’araldica, gli ordini cavallereschi, i titoli nobiliari… E lo è. Ma l’interesse del presidente degli Uberti per tutte queste scienze ausiliarie della storia è dovuto, come in quasi tutti i casi di esperti in questi campi, a un desiderio appassionato di dimostrare che lui stesso è nobile».
Non devo dimostrare proprio nulla perché che io discenda da Famiglia nobile lo hanno sempre scritto e detto prima che io nascessi gli storici. Come si può vedere l’ANONIMO dimostra invece di essere così antiquato colla sua pseudo-formazione tanto da parlare ancora di “scienze ausiliarie” quando dovrebbe sapere bene che noi Scholar le definiamo “scienze documentarie” per dare una nuova dignità scientifica alla materia, precedentemente considerata come asservita alla storia e non invece essenziale alla sua corretta ricostruzione.
2) «alla registrazione dello stemma da parte delle autorità araldiche di Spagna e Sudafrica, invocati dal presidente degli Uberti a sostegno dei suoi diritti, tutto ciò non prova assolutamente nulla e un esperto così competente come lui lo sa benissimo».
 Il mondo scientifico sa da sempre che per me hanno valenza solo i riconoscimenti dello Stato, come quelli che ho ottenuto in Spagna e Sudafrica, che mi hanno permesso di avere un documento araldico di Stato sia in un Paese legato alla storia dell’Italia, che in tutti i Paesi del Commonwealth, dove ho i miei interessi. La certificazione permette l’uso araldico legale certificato di uno stemma nel Paese dove è stato ottenuto, che oggi con i tempi che corrono è una gran cosa! Ma mi chiedo come mai l’ANONIMO tralascia di parlare della concessione che ho ottenuto nel Regno di Scozia. È una dimenticanza od è un fatto voluto?
3) «In conclusione, Pier Felice degli Uberti non ha nessun vero titolo nobiliare. Due dei suoi titoli – nobile, conte di Cavaglià – sono assunti, gli altri due – signore feudale di «Valence, barone di Cartsburn – sono comprati. Lui non è affatto nobile, nemmeno uno senza titolo. È un nobile artificiale, fabriqué de toutes pièces, fatto di tutti i pezzi, come dicono i francesi. D’altronde, questo era ovvio, perché chi è veramente nobile non ha bisogno di sforzarsi per dimostrarlo; è chiaro fin dall’inizio ed è noto, è più o meno di notorietà pubblica e storica. Ma il presidente degli Uberti non ha bisogno né di titoli nobiliari, né di stemmi, perché i suoi veri titoli e blasoni sono le sue incontestabili competenze nei campi di cui si occupa. Conserviamo sempre una sincera affezione per la sua cara e distinta persona.».
Ho sempre dimostrato il più grande rispetto per la bella Storia della mia Famiglia, e ho voluto trattare su riviste di scienze documentarie della storia alcuni aspetti araldico-genealogico, documentando sempre ogni mia affermazione. Ma non ho mai scritto la storia della Famiglia degli Uberti, perché era già stata scritta da altri prima che io nascessi. Ci tengo a ricordare che la mia famiglia è del Monferrato, ed i maggiori storici locali (anche se con una formazione di studi per me oggi obsoleta) hanno trattato il tema sia in pubblicazioni sulla storia del Monferrato, che in quella di paesi locali, basta andare a leggersi i loro testi ed è chiaro quanto scrivono, che non è diverso da quanto ho scritto io utilizzando quelle fonti (alle quali ho aggiunto i documenti). Mi sono chiesto dove viva il mio diffamatore perché sembrerebbe uscire da certi romanzi d’appendice, dato il modo di scrivere che non esiste più da decenni. Io di sicuro vivo nel mondo reale di ogni giorno, in una realtà a diretto contatto con la società in cui opero. E se vogliamo essere più precisi, nella realtà della Repubblica Italiana dove (lo ripeto) non esiste oggi nobiltà. L’ANONIMO vorrebbe sminuirmi al punto da farmi apparire come un relitto del passato che vive per una nobiltà che oggi non ha alcuna rilevanza giuridica e quindi per tutti non c’è, o si ritrova ancora nelle riviste di gossip per ironizzarci sopra. Vedo anche con soddisfazione che il diffamatore non mi frequenta, perché saprebbe che a differenza di tanti non ho biglietti da visita con stemmi, corone e titoli (anche se nel mio caso sarebbero di valore araldico giuridicamente valido), né porto al dito nessuna delle chevaliers di Famiglia ereditate. Non vivo nel sogno, come lui, visto il tenore del suo scritto, perché nella vita comune ed accademica non uso quelli che nel passato erano titoli nobiliari, trovandolo naif.
FARINATA degli UBERTI E i degli UBERTI/UBERTIS DEL MONFERRATO
Non perdo tempo a riportare la parte del blog che affronta in modo naif questo argomento, perché tutti sanno che non do mai valore scientifico alle tradizioni di Famiglia che per me restano tali (ovviamente applico lo stesso concetto per tutte le Famiglie e non certo solo per la mia).
Nel 2021 sono stato invitato dalla città di Firenze per la commemorazione dei 700 anni della morte di Dante Alighieri, e per fare “la pace” a nome dei degli Uberti con la città di Firenze, entrando in DI PARTE GUELFA.
Sono una persona seria e ho risposto che la mia Famiglia ha una tradizione documentata almeno dalla fine del ‘400 ed inizio del ‘500, anche se famosi studiosi dei secoli passati l’hanno sempre considerata un ramo della famiglia fiorentina (lo stesso Goffredo di Crollalanza spese 2 anni della sua vita per correggere la storia dei degli Uberti, scritta da Giuseppe Farinati degli Uberti che vinse il premio della Regia Accademia Araldica Italiana nel 1895).
DI PARTE GUELFA mi disse che essendo il più rappresentativo dei degli Uberti per loro andava più che bene se avessi accettato, cosa che ho fatto e nel mio discorso ho ricordato la tradizione di Famiglia definendola proprio come tradizione, e l’importanza della Famiglia della nonna di mia moglie, i Fortini del Giglio. Poi ho scritto l’articolo (dal titolo che ripropone le parole con cui mi hanno accolto) “DI PARTE GUELFA ABBRACCIA LA FAMIGLIA degli UBERTI”, in Nobiltà, gennaio-febbraio 2022, n. 166, pp. 57-68. Ora vedo che l’invidia umana non ha digerito questa bella occasione di parlare di pace in un mondo pieno di guerre.
IL FURTO DI STEMMI ALTRUI
Consiglio all’ANONIMO, se è davvero interessato alla storia della mia Famiglia, di approfondire la tematica degli stemmi, dove pure dimostra un buio assoluto sull’araldica e le sue tradizioni.
Lui scrive: «Le somiglianze tra i cognomi “Ubertis” e “degli Uberti”, tra lo stemma originario della famiglia Ubertis di Monferrato – scaccato d’oro e d’azzurro – e quello della famiglia degli Uberti di Firenze – partito: nel 1° d’oro, all’aquila di nero, uscente dalla partizione; nel 2° scaccato d’oro e d’azzurro -, non provano assolutamente nulla»
Vorrei sapere proprio dove avrei scritto che l’uso degli stemmi sarebbe la prova della comune ascendenza dei de Ubertis del Monferrato e dei de Ubertis di Firenze? È un’altra affermazione gratuita.
Ma aggiunge: «Così, alle pagine 397-398, sono descritti gli stemmi a cui avrebbe diritto la famiglia: il primo – scaccato d’oro e d’azzurro, lo stemma originario della famiglia Ubertis – è di assunzione (autoconferito), possibilmente usurpato; lo stemma dei conti di Cavaglià – d’oro, a tre gigli d’azzurro, due e uno, con il capo d’azzurro, caricato di un cavallo passante d’oro, imbrigliato e sellato di rosso – è certamente usurpato (lo dimostreremo in seguito); così come lo stemma attualmente utilizzato da Pier Felice degli Uberti – partito: nel 1° d’oro, all’aquila di nero, uscente dalla partizione; nel 2° scaccato d’oro e d’azzurro -, rubato, secoli fa (come, forse, il primo), da famiglia Ubertis di Monferrato, alla famiglia degli Uberti di Firenze, sulla base di una presunta parentela con questa, come l’autore stesso ammette: “Quest’arma e simile a quella usata dai degli Uberti di Firenze e fu usata [dagli Ubertis di Monferrato] nella mitica convinzione di ricollegarsi a quel ceppo».
Ma come può l’ANONIMO permettersi di dare del ladro (usa le parole rubato, usurpato, accusa realmente molto grave e diffamatoria), ai miei Antenati che da secoli firmano con loro vero nome e cognome (guardatene le firme dagli inizi del ‘500 su quel mio articolo citato dall’ANONIMO) riferendosi ad uno stemma (partito) che i miei Antenati documentano di usare in vari atti già a partire dal ‘500, proprio uno che per non firmare con il suo vero nome e cognome va a usare l’identità di un ignaro morto di covid? Aggiungo che la mia Famiglia ha sempre fatto uso da secoli di entrambi i 2 stemmi, sia il semplice scaccato che il partito, magari un ramo usava lo scattato ed un altro il partito, ma non è così precisamente stabilito; poi (come ben sa chi conosce la materia) ci sono spesso varianti nei colori, tanto che oggi sostengo che nelle descrizioni araldiche per essere chiari e certi del colore bisognerebbe indicare in nota il numero del pantone grafico. Si rilegga quanto ho scritto in: La tradizione dell’origine fiorentina negli Ubertis di Casale Monferrato, in Nobiltà, gennaio-febbraio 2001, n. 45, pp. 581-598; e particolarmente a p. 598. In quanto all’uso, se lo facessi davvero (nella vita comune non faccio uso di stemmi) avrei il pieno diritto di farlo grazie alle mie certificazioni araldiche provenienti da Uffici Araldici di Stato. Lo stesso discorso vale per lo stemma dei Cavaglià (ramo Cicugnone) che risulta estinto nei maschi in tutte le numerose linee nel secolo XVII.
I CONTI DI CAVAGLIÀ
«Così, sempre nell’articolo “Appunti genealogici sulla casata degli Uberti”, l’autore parla di una famiglia cespugliosa, con cinque rami con altrettanti cognomi (tra i quali “Cicugnone”) e con molte decine di membri, e sostiene che “tuti i consorti godevano del titolo di conte di Cavaglià” e che la successione del titolo “era ammessa a beneficio dei maschi, delle femmine ed addirittura dei loro mariti”. In altre parole, un piccolo feudo – Cavaglià – era detenuto non da un solo uomo, ma – collegialmente – da decine e decine di persone, portando tutte il titolo di conte di Cavaglià! All’apice della ramificazione famigliare, c’erano non meno di 50 conti di Cavaglià (ha scritto il presidente in un argomento, sul forum “I nostri avi”, corrispondente alle organizzazioni che dirige)!»
A supporto della mia affermazione riferita all’elevato numero dei membri del Consortile dei Conti di Cavaglià riporto quanto Stefano Guazzo, autore de La Civil Conversazione scrive nella sua opera: “Famosa la descrizione fatta dal patrizio casalese Stefano Guazzo nella sua opera Civil conversazione (1574) dei condomini monferrini: “Onde se riguardate intorno a questi colli, voi vedete, senza andar più lontano, alcune castella tanto copiose de’ gentiluomini tutti consorti in quella signoria, che non ne tocca a pena un merlo per ciascuno, e sbucano fuori per diverse porte così a schiera che paiono conigli, e avendo fondato tutta la loro intenzione sopra quel poco di fumo, si lasciano o marcir nell’ozio o condurre dalla necessità a far atti indegni e vergognosi, per li quali si può dire che perdono la nobiltà restando in signoria, e bene spesso perdono l’una e l’altra insieme…”.
Praticando la Legge Longobarda (dove tutti i discendenti ereditavano dividendo continuamente il patrimonio) la logica fa capire che vivevano come nobili una situazione di povertà (anche se magari studiavano diritto all’Università, svolgevano professioni liberali, facevano lavorare le poche terre rimaste), quindi in quella situazione a che pro richiedere una investitura ad un titolo feudale (diretto del Sacro Romano Impero) se poi non restava di quel territorio nulla? I Cicugnoni vivevano a Frassineto (il porto fluviale della capitale del Monferrato), ad esempio i Ruffinenghi, vivevano a Valmacca, dico questo perché ho letto nel blog un’altra assurdità che mi fa sorridere: “Inoltre, se qualcuno aveva, comunque, il diritto di chiedere l’investitura per il titolo di conte di Cavaglià, questo sarebbe stato certamente il marito della figlia maggiore dell’ultimo conte, deceduto nel XVII secolo, o i suoi discendenti per donne, e sicuramente non i discendenti di una Cicugnone sposata, intorno al 1550, con un Ubertis. Oppure, se l’ultimo conte di Cavaglià, defunto nel XVII secolo, non ha avuto figlie, i discendenti per donne di un conte precedente, ma posteriore al matrimonio tra Antonio Ubertis e Catalina Cicugnone”. Ripeto, se l’ANONIMO conoscesse il diritto nobiliare applicato ai Consortili feudali in Piemonte saprebbe che nel caso dei Conti di Cavaglià (che non praticavano la legge Salica, ma quella Longobarda) erano sempre tanti e non uno solo. Quando nel XVII secolo (o meglio il 23 marzo 1625) si estingue a Valmacca il ramo dei Ruffinenghi, l’ANONIMO dovrebbe sapere che le eredi furono 2 donne che sposarono 2 membri di Famiglie nobili dell’alta aristocrazia monferrina, una delle 2 di origine mantovana.  ovvero il ramo che cita. Nel secolo XVII e prima e dopo ed in Italia sino al 31 dicembre 1947 la nobiltà era una realtà concreta legata all’aspetto economico e non il sogno romantico dei nostri giorni.
Conoscendo la storia della mia Famiglia, e visto che i Cicugnone si estinguono per ben 2 volte in essa, io per primo ho voluto rivendicarne simbolicamente ma con valenza giuridica il pieno diritto araldico, ottenendolo nel modo dovuto, ovvero con una certificazione d’arma, genealogia e nobiltà concessa dall’ultimo Cronista de Armas del Regno di Spagna, in quanto il Monferrato era considerata parte della Comunidad Hispanica per la sovranità di Carlo V dal 1533 al 1536 e le continue guerre del secolo XVII (l’esercito spagnolo era situato sulle terre della mia Famiglia).
Credo di essermi comportato correttamente, rivendicando solo un indiscusso diritto araldico storico appartenente alla mia Famiglia. Poi per l’amicizia con S.A.I.R. l’Arciduca Ottone d’Asburgo, Capo dell’Imperiale, Reale ed Apostolica Casa d’Austria-Ungheria mi è stato regalato da Lui il suo riconoscimento privato al diritto al titolo di Conte di Cavaglià, ma basandosi (in quanto inesperto in diritto nobiliare) sulla detta Certificazione d’Arma, Genealogia e Nobiltà rilasciata dall’ultimo Cronista d’Arma del Regno di Spagna, che a casa mia a Casale Monferrato gli avevo fatto vedere, ottenendo così un riconoscimento di carattere nobiliare ma privato. Come stradetto la nobiltà ha sempre e solo una validità pubblica e il riconoscimento deve essere emesso da un Sovrano sul trono, ma credo che non si può considerare un crimine accettare un regalo morale da parte di un Amico che è stato l’ultimo Crown Prinz dell’Impero Austro-Ungarico.
Invito ora l’ANONIMO ad approfondire il tema dei consortili nobiliari in Monferrato così potrebbe realmente capire cosa sono e quali sono le successioni all’interno degli stessi. Non sono certo io che mi permetto di fare delle considerazioni sulla tematica, perché è stata trattata chiaramente da altri prestigiosi studiosi molti secoli fa e anche alcuni decenni prima della mia nascita; fra i tanti ricordo solo questi nomi: Ferdinando Gabotto (1866-1918), Francesco Guasco Gallarati di Bisio (1847-), e non posso dimenticare Benvenuto San Giorgio (1450-1527) e Galeotto del Carretto (1455-1530).
Mi limito a dire che nel 1390 Lorenzo Radicati di Cocconato chiese l’investitura a conte di Cavaglià per il solo fatto di aver sposato una figlia del conte di Cavaglià. Se il Radicati aveva questo diritto perché non avrebbero dovuto averlo i degli Uberti? Il Sacro Romano Impero è finito nel 1806 e non è possibile chiedere una investitura, ma le eredità legate a diritti incorporei rimangono all’infinito. Se intende andare a vedere tutta la documentazione relativa a quanto affermo vada all’Archivio di Stato di Torino dove gli daranno la possibilità di controllare tutte le mie affermazioni sul tema.
Infine mi limito, a dire trattando tutto l’argomento “Cavaglià”, che l’ANONIMO non dovrebbe permettersi di fare considerazioni od esprimere pareri senza aver studiato (come dimostra) la mia Famiglia e visionato i documenti.
Io personalmente ci ho perso anni e non ho ancora finito! Ma dimentico che lui non è mosso dal desiderio di conoscenza storica, ma sembrerebbe solo dalla volontà di danneggiare la mia immagine di studioso.
ALCUNE CONSIDERAZIONI ERRATE E MENZOGNE SUL BLOG DIFFAMATORIO
L’ANONIMO scrive: «Nella stessa nota 34, si fanno anche altre precisazioni rivelatrici: si dice molto chiaramente che, “a differenza del limitrofo ducato di Savoia, in Monferrato non si fecero mai consegnamenti di stemmi e dimostrazioni di appartenenza al ceto nobiliare”; che “il titolo di nobile [in tutto l’articolo, il presidente sembra confondere la nobiltà senza titolo con il titolo di nobile, ma non entriamo nei dettagli], in questa terra, fu attribuito ad alcune famiglie non da concessioni sovrane, ma si formò lentamente e si consolidò come un generale e duraturo riconoscimento di un particolare tenore di vita e di una elevata pubblica considerazione” (zero barrato)».
L’ANONIMO ha ragione ad assegnare a quanto da lui stesso scritto un voto zero barrato, ma se dovessi attribuirglielo io, proprio perché sono buono potrei aumentarlo ad uno! Nel suo caso è davvero “puerile” parlare di qualcosa che si vede non conosce. Il diritto nobiliare in Monferrato non era codificato dalla legge e per avere una concezione di cosa fosse la nobiltà dobbiamo andare a consultare i maggiori autori di opere edite, come ad esempio la Civile Conversazione di Stefano Guazzo, dove si tratta proprio la nobiltà in Monferrato. Di interesse è pure la pubblicazione di Lorenzo Caratti di Valfrei sul tema, conservata presso l’Archivio di Stato di Alessandria. E poi ci sono le varie grida marchionali e ducali, che spiegano alcuni aspetti della nobiltà. Purtroppo però l’ANONIMO dimostra ancora una volta di non avere letto nessuna delle fonti esistenti. I veri studiosi sanno che il Principato di Piemonte aveva leggi diverse dal Monferrato, come erano diverse nel Marchesato di Saluzzo, e nella Repubblica di Asti. La nobiltà senza titolo in Monferrato è molto simile agli hidalgos e infanzones in Spagna. Ad esempio bastava il more nobilium per essere ammessi nel Consiglio Nobile di Casale, ma si dovevano avere 300 anni (con solo 20 sanabili).
Il diffamatore continua: «che “la massima numero 21, in materia nobiliare, contenuta in un parere reso al re Carlo Emanuele III di Savoia [il Monferrato entra a far parte dei domini sabaudi nel giugno 1708], in materia di diritto nobiliare, da uno speciale corpo consultativo, formato dai primi presidenti del Senato di Piemonte, della Camera dei Conti e dall’avocato generale del Senato di Piemonte, il 20 luglio 1738, afferma: ‘Il titolo di nobile usato in atti antichi da famiglie, anche per lungo spazio di tempo, non fu mai creduto attribuire nobiltà, essendosi dato, nel XVII secolo, a tutti quelli che vivevano nobilmente e senza personale soggezione a feudatario’ “; e Pier Felice degli Uberti stesso conclude: “l’attribuzione dell’appellativo di nobile, più che un vero e proprio titolo nobiliare, riconosciuto giuridicamente, denotava, più semplicemente, la distinta civiltà della famiglia cui questo titolo veniva attribuito».
 
Come tutte le persone che forzano la verità per loro scopo personale l’ANONIMO estrapola una mia frase per distorcere il senso della discussione. E pensare che sono proprio io a citare questo parere nell’articolo pubblicato su Hidalguia dimostrando la mia onestà e serietà di pensiero, Mi spiace contraddire l’ANONIMO, ma in Monferrato (sino a che fu uno Stato Sovrano) quella che lui intende come Distinta Civiltà (esistente poi in Italia durante il Regno d’Italia) non esisteva, vi erano i nobili (divisi in 3 classi) e gli altri, ovvero i non nobili.
Come può supporre che io possa credere di vedere una nobiltà nella mia Famiglia basandomi solo su 3 documenti di stato civile (intendo per ogni generazione)? La nobiltà in Monferrato era espressione di tanti privilegi quali l’ammissione al nobile consiglio di Casale Monferrato, la costituzione di Jus Patronati, la vita in adeguati palazzi, il possesso di consistenti terre, l’ammissione in Collegi Nobili Universitari, la nomina ad Ambasciatori, l’essere Ufficiali nell’esercito, anche il notariato imperiale (ma legato ad altri privilegi), l’amministrazione per generazioni delle cariche civili di paesi liberi da feudatari, oltre al possesso se fosse possibile di giurisdizioni feudali. Spero che ora abbia capito il suo errore e smetta di basarsi per le sue insinuazioni solo su quel mio studio di poche pagine per una rivista spagnola, una pubblicazione voluta da un caro amico, il dott. Lorenzo Caratti di Valfrei, per supportare le sue idee in merito alla nobiltà del Monferrato, cosa che sono felice di avere fatto.
Tuttavia è bene rilevare che il parere che io cito era valido ovviamente per il Piemonte ma non per il Monferrato, che aveva leggi diverse (una per tutte: non vi erano pagamenti erariali per i riconoscimenti nobiliari che non venivano effettuati); poi il parere si riferiva al secolo XVII, quando il Monferrato era uno Stato Sovrano. E quindi? Il parere reso al re Carlo Emanuele III di Savoia relativo alla massima 21 era proprio come è stato scritto un parere, disatteso per opportunità politica alcune volte. Continuo dicendo che un vero scienziato della materia dovrebbe poi andare a vedere e studiare i vari riconoscimenti riferiti a famiglie piemontesi e controllare se la massima veniva applicata o meno (si noti che – come è scritto – era un parere e non una legge). In ogni modo ci sono riconoscimenti di famiglie avvenuti durante il Regno d’Italia che hanno sui documenti la sola qualifica di nobile nel secolo XVII, ma presentano alla Regia Consulta Araldica anche altre manifestazioni della nobiltà come: i giuspatronati ecclesiastici, le ammissioni in Consigli Nobili, i gradi militari ecc. A differenza del diffamatore io sono abituato ad andare a fondo nella materia, a cercare i confronti documentali, e non, come lui, ad arrampicarmi sugli specchi. Se io non amo le falsità e i falsari, il mio diffamatore ama invece vivere nella menzogna (a cominciare dal suo vero nome) e predilige quindi mentire spudoratamente, come quando scrive: «E – sempre comunque – è assolutamente certo che gli Ubertis non sono mai stati formalmente, giuridicamente riconosciuti come appartenenti alla nobiltà del Regno di Sardegna. Non sono nemmeno elencati nel “Libro d’oro della nobiltà italiana”, che comprendeva le famiglie riconosciute nobili dopo la piena unificazione del 1870, cioè appartenenti alla nobiltà del Regno d’Italia, malgrado uno sforzo negli anni venti, da parte degli Ubertis, per essere inclusi in questa prestigiosa lista, sforzo fallito a causa dell’incapacità di fornire le necessarie prove documentali storiche. Per quanto riguarda l’appartenenza della famiglia Ubertis alla nobiltà del marchesato, poi ducato del Monferrato, anteriore ai regni di Sardegna e d’Italia, Pier Felice degli Uberti stesso scrive, come abbiamo mostrato sopra, che “il titolo di nobile, in questa terra, fu attribuito ad alcune famiglie non da concessioni sovrane, ma si formò lentamente e si consolidò come un generale e duraturo riconoscimento di un particolare tenore di vita e di una elevata pubblica considerazione” (quindi bla, bla, bla…); che “il titolo di nobile non era un vero titolo nobiliare, dotato di specifico riconoscimento giuridico, ma solo una qualifica relativa ad una famiglia che viveva una sua antica e distinta civiltà di vita” (bla, bla, bla…); e sempre Pier Felice degli Uberti cita il parere del 20 luglio 1738, secondo il quale “Il titolo di nobile usato in atti antichi da famiglie, anche per lungo spazio di tempo, non fu mai creduto attribuire nobiltà, essendosi dato, nel XVII secolo, a tutti quelli che vivevano nobilmente e senza personale soggezione a feudatario”».
L’ANONIMO, che vorrebbe farci credere di essere un consultatore di fonti archivistiche, si permette di scrivere a solo scopo diffamatorio un’altra enorme menzogna, una totale invenzione facilmente smascherabile, che qui trascrivo: «malgrado uno sforzo negli anni venti, da parte degli Ubertis, per essere inclusi in questa prestigiosa lista, sforzo fallito a causa dell’incapacità di fornire le necessarie prove documentali storiche».
Peccato per lui che grazie al lavoro della dr.ssa Giovanna Arcangeli nel 2012-2013 venne censito tutto il materiale riferito alle famiglie che chiesero e ottennero il riconoscimento dello Stato della loro nobiltà, e sono pure inserite quelle che non l’ottennero. Ebbene, NON ESISTE NESSUNA RICHIESTA DI RICONOSCIMENTO DA PARTE DELLA FAMIGLIA UBERTIS di Casale Monferrato, basta andare all’Archivio Centrale dello Stato per vedere chi dice il vero.
Gli Ubertis durante il Regno d’Italia erano così certi ed orgogliosi della loro nobiltà che non ritenevano di dovere cercare un riconoscimento per un semplice titolo di nobile, che non gli avrebbe cambiato la vita, accontentandosi della loro indiscussa storicità plurisecolare, ben nota a tutti.
Tuttavia come studioso della materia il mio atteggiamento è ben diverso perché, come pago l’abbonamento alla televisione, se fossi vissuto fra il 1869 e 1947 penso che avrei pagato anche il riconoscimento nobiliare, magari poi senza usarlo nella società, come faccio oggi.
Veniamo ora alle mie proprietà feudali britanniche:
Lord of the Manor of Benham Valence e Baron of Cartsburn
1) la Lordship di Benham Valence, la acquistai perché un mio defunto caro amico Cecil Humphery Smith mi chiese informazioni sugli antichi proprietari, i Castiglione, ed avendo una antenata de Ubertis sposata ad uno di loro, decisi di divenirne proprietario.
2) la Baronia di Cartsburn, che è una baronia con concetti moderni come piacciono a me, era il porto da dove gli scozzesi raggiungevano il Nord America. L’ho acquistata perché ho un progetto ben preciso legato alle baronie di cui al momento non voglio dire nulla, ma non appena attuato lo rivelerò.
Non mi dilungo troppo perché nel Regno Unito queste residualità sono tutelate dalla legge. Persino un qualunque amateur di Baronie Scozzesi sa bene che si possono acquistare e vendere a piacere, e la successione avviene come il barone vuole, anche escludendo i figli; permettono l’iscrizione nel Burke’s Peereage, un repertorio riconosciuto dalla legge: difatti lo Stato accetta quanto scrive al fine di inserirlo nei documenti e passaporti. Nel Regno Unito tutti sanno che i nobili britannici sono solo i Pari (quella che in Europa è l’alta nobiltà) e che siedono in Parlamento, tutti gli altri (nobili minori nel concetto europeo) appartengono alla Gentry, e tutti, anche i non esperti, dovrebbero conoscere che la Gentry è assimilabile in Italia alla nobiltà minore (ovvero da Marchese in giù).
Per saperne di più consiglio l’ottimo studio sul tema: https://diventarenobile.weebly.com/le-baronie-feudali-scozzesi.html e la risposta alle livide obiezioni di qualcuno che soffre d’invidia, viste le superficiali contrarie affermazioni: https://diventarenobile.weebly.com/risposta-alle-obiezioni.html ed ancora, se vogliamo essere corretti, si può leggere la legge vigente in merito: https://www.scotlawcom.gov.uk/files/1712/8015/2730/26-07-2010_1458_725.pdf dove compare l’esistenza delle baronie feudali.
L’ANONIMO scrive: «Per quanto riguarda i titoli britannici del presidente degli Uberti – signore feudale di Benham Valence (Inghilterra) e barone di Cartsburn (Scozia) -, basta ricordare solo questo: come lui stesso ammette, questi titoli sono stati comprati, quindi, indipendentemente dalla loro validità legale, dal punto di vista morale non hanno alcun valore».
La chiara dimostrazione che il mio diffamatore ANONIMO non è certo un esperto della materia e vive la nobiltà come qualcosa di assolutamente astratto mai esistito nella realtà storica, la troviamo in queste 3 righe! I titoli feudali nella loro quasi totalità sono stati sempre acquistati e venduti (visto che ama il Monferrato dovrebbe sapere che i Gonzaga li vendevano proprio in Monferrato agli stranieri), ed aggiungo che nel Piemonte del Regno di Sardegna vi furono saldi di vendite di feudi nel secolo XVIII. Del resto sono stati sempre degli investimenti che permettevano di godere di alcuni benefici ovvero i diritti feudali, che portavano al possessore del feudo un aumento delle sue finanze.
Ma non solo, il Pontefice spesso per ringraziare un benefattore (che ad esempio costruiva una chiesa) concedeva un titolo nobiliare. L’ultimo titolo nobiliare concesso dal Pontefice è un titolo baronale concesso da Paolo VI al donatore degli arredi del Concilio Vaticano II. E ci sono altre Nazioni che hanno fatto lo stesso.
Qualunque persona di buon senso nutrirebbe dubbi sull’attendibilità delle lezioni di Morale provenienti da un ANONIMO che mente persino su sé stesso, non si fa scrupolo ad offendere i defunti o rubarne la loro identità.
«Inoltre, il modo in cui il presidente degli Uberti permette di essere presentato, in varie pubblicazioni, come “il 15° barone di Cartsburn”, inganna consapevolmente i lettori, che, leggendo queste parole, capiscono, naturalmente, che il titolo di barone di Cartsburn è nella famiglia degli Uberti da 15 generazioni».
Ecco provata, nel tentativo di diffamarmi, un’altra mancanza di conoscenza sui titoli britannici che mi fa ancora sorridere: basterebbe leggere il sito www.cartsburn.com dove sono elencati i 15 baroni feudali di Cartsburn, ove si vede chiaramente che appartengono a varie famiglie anche non collegate tra loro da parentela; fra l’altro sono vivi ancora il XIII e XIV barone feudale che appartengono a famiglie diverse. I titoli feudali britannici dove è possibile vengono elencati con il numerale progressivo e ciò non significa per nulla che sono della stessa famiglia, ma che i numerali indicano i vari possessori del feudo nel tempo, perché – lo ripeto – i titoli feudali si acquistano e vendono come qualunque proprietà, la cui anzianità parte dal tempo della concessione sovrana.
Mi permetto di aggiungere che, per mia abituale correttezza, anche nel Burke’s Peereage, a differenza della quasi totalità degli stranieri, io non inserisco titoli nobiliari o ordini cavallereschi che NON sono riconosciuti o riconoscibili dalla legge del Regno Unito, quindi vi si può leggere solo quello che è permesso legalmente nell’UK.
Chiudo i commenti a questa sequenza di affermazioni false, imprecise e comprovanti ignoranza e malafede riportando ancora: «In conclusione, Pier Felice degli Uberti non ha nessun vero titolo nobiliare. Due dei suoi titoli – nobile, conte di Cavaglià – sono assunti, gli altri due – signore feudale di Benham Valence, barone di Cartsburn – sono comprati. Lui non è affatto nobile, nemmeno uno senza titolo. È un nobile artificiale, fabriqué de toutes pièces, fatto di tutti i pezzi, come dicono i francesi. D’altronde, questo era ovvio, perché chi è veramente nobile non ha bisogno di sforzarsi per dimostrarlo; è chiaro fin dall’inizio ed è noto, è più o meno di notorietà pubblica e storica.
Ma il presidente degli Uberti non ha bisogno né di titoli nobiliari, né di stemmi, perché i suoi veri titoli e blasoni sono le sue incontestabili competenze nei campi di cui si occupa. Conserviamo sempre una sincera affezione per la sua cara e distinta persona».
Ridicolo ancora una volta come tutto il tenore dello scritto anonimo, il tentativo di prodursi in lodi alla mia persona dopo un così protratto tentativo di diffamarmi, che mostra solo un certo timore di una qualche conseguenza legale. Peccato che il diffamatore sia un ANONIMO che ha motivi di astio nei miei confronti che vuol tenere segreti come il suo vero nome e cognome e pensa di farmi del male restando nelle tenebre, perché se avesse firmato con nome e cognome il suo pensiero, se fosse stato anche uno Scholar, avrebbe potuto avere un certo peso alla luce del sole, ma così le sue parole restano alla stregua di barzellette “in cerca d’autore” che metto in buona compagnia delle altre diffamazioni anonime ricevute nel tempo. Come quelle sono sicuro che mi procureranno solo maggiore apprezzamento, stima, considerazione e rispetto tra le persone serie per la mia lealtà, imperturbabilità e apertura mentale da vero studioso.
Del resto se in questo momento ho la presidenza di 2 dei 4 più importanti organismi mondiali che si occupano di araldica, genealogia ed ordini cavallereschi, godendo il rispetto degli Scholar ed appassionati di queste materie, ci sarà certamente un valido motivo. Solo per concludere, rivolgendomi una volta direttamente a questo “non si sa chi”: Non crede poi lei che io nutra seri dubbi sull’esistenza reale dei 4 interlocutori (almeno per adesso 4, ovvero Marcello, Giorgio, Riccardo e L. Papanti, ma poi potrà ampliare il numero come è solito…) che postano affermazioni diffamatorie nei miei confronti sul suo blog, dopo aver visto che lei ama parlare attraverso identità plurime?
Noto con piacere che allentando l’autocontrollo, lei scivola ormai a rivelare senza più ombra di dubbio il suo intento diffamatorio nei miei confronti quando nel blog per me creato inserisce anche un nuovo articolo su un «“Basilicò di Malta”: impostore, avventuriero, criminale, re» https://ilgrandevecchio.wordpress.com/2022/05/03/basilico-di-malta-impostore-avventuriero-criminale-re/, o ancora quando animando appunto altri “burattini” dà voce a «8 risposte a “Pier Felice degli Uberti, la corsa per la nobiltà”» delineandomi come: “un volgare impostore, come tanti altri”; aggiungendo: «Assolutamente incredibile! Dunque il presidente degli Uberti ci ha ingannato per tutti questi anni?! Davvero sconvolgente!»; e nel tentativo di ridimensionare l’ormai palese diffamazione (essere un ingannatore) offende ancora la mia Famiglia e le mie capacità di esperto stimato a livello mondiale rappresentandomi come incapace di discernere il vero dal falso: «Io non direi che ci ha ingannato. Ha ingannato sé stesso, perché voleva credere. O, meglio ancora, è stato ingannato dalla sua famiglia». Accuse davvero pesanti per uno studioso che ha dedicato la propria vita a combattere le falsificazioni documentali e riportare le discipline documentarie della storia a dignità di vere scienze.
Non ho chiesto ai siti dove lei ha postato il suo blog di rimuoverlo, per potervi poi leggere la mia risposta. Ma ho molti impegni come lei ben sa e non sono freneticamente ossessionato da occupare il mio poco tempo libero a postare (come fa lei quasi per un chiodo fisso) producendo ogni momento nuove puntate del suo “romanzo” in vari siti. Ho molte cose più importanti da fare che occuparmi a tempo pieno delle chiacchere di un ANONIMO privo di autorità scientifica in ambito di scienze documentarie della storia e, per accontentarla, aggiungerei anche in ambito nobiliare. Tanto più che io – a differenza di lei – firmo sempre con il mio bellissimo nome e cognome le tante opere e pubblicazioni che produco in questo settore, dove da coloro che hanno un reale degree accademico sono riconosciuto come un vero esperto. Ora le ho teso la mano per invitarla a discutere su questa tematica che a lei sembra stare a cuore: dimostri di non essere quella persona spiacevole che lancia il sasso e nasconde la mano, ma uno che ha l’unico interesse nel conoscere la verità…
Sicuramente anche lei si rende conto che quanto afferma una persona che è “nessuno” nelle Scienze Documentarie della Storia e senza neppure una pubblicazione scientifica, non trova l’approvazione degli studiosi e degli appassionati, e rimane una voce inutile nel deserto. Ma si può certo studiare e diventare esperti e poi far valere la propria formazione per dimostrare quanto c’è in giro di errato, non le pare?
Chissà se contagiato dalla mia lealtà e correttezza non deciderà di scrivere un’ultima puntata togliendosi finalmente quelle tante maschere di cui ama nascondersi per spiegarci i reali motivi che la spingono a tanto tenace continuata lotta contro di me. Sinceramente far credere che venire bannati da un forum possa giustificare una reazione spropositata del suo genere, è un’offesa all’intelligenza dei lettori e mia.
Perciò, mio caro, le dico: “non si perda questa occasione” chissà che davanti all’onestà scientifica non si possa anche diventare amici.
Alcuni testi (non ne indico molti perché sono più che sufficienti) utili a farsi una cultura storica e sociale per poter discutere serenamente della materia che si vuole trattare:
Alexandria, Rivista Mensile della Provincia, Figure che scompaiono Luigi Ubertis, anno 4, numero 8, agosto 1936
Eugenio Capra, Frassineto Po nella Storia, nell’Arte, nel Folklore, Tipografia Casalese f.lli Tarditi, Casale Monferrato, 1931.
Vincenzo de Conti, Notizie storiche della città di Casale nel Monferrato, Casale Monferrato, 1938, v. 3, pp. 376.
Giuseppe Amedeo Farinati degli Uberti, Ricerche Storico Genealogiche sulla Famiglia degli Uberti, Giornale Araldico-Genealogico-Diplomatico Italiano, R. Accademia Araldica Italiana, 1898.
Roberto Girino – Duilio Pozzi, Frassineto Po, dagli albori della civiltà umana alle soglie del duemila, Volume I, 1989.
Roberto Girino – Duilio Pozzi, Frassineto Po, dagli albori della civiltà umana alle soglie del duemila, Volume II, 1996.
Roberto Girino – Duilio Pozzi, Frassineto Po, dagli albori della civiltà umana alle soglie del duemila, Volume III, 2008.
Stefano Guazzo, La Civil Conversatione del Sig. Stefano Guazzo Gentil’huomo di Casale di Monferrato, divisa in quattro libri. Nel primo si tratta in generale de’ frutti, che si cavano dal conversare. Nel secondo si discorre primariamente delle maniere convenevoli a tutte le persone nel conversar fuori di casa. Nel terzo si dichiarano particolarmente i modi, che s’hanno a serbare nella domestica conversazione: cioè tra marito e moglie. tra padrone e servitore. Nel quarto si rappresenta la forma della Civil Conversatione. Nuovamente dall’istesso Auttore corretta, & di molte cose, non meno utili, che piacevoli ampliata, In Vinegia, Presso Altobello Salicato, 1590. Si tratta di una importantissima pubblicazione utile a conoscere la nobiltà in Monferrato, con una ottima spiegazione dei vari tipi effettuata dall’autore.
Annunziata Loredana Marzi, I giuspatronati degli Uberti a Frassineto Po. Onorare la memoria degli avi e dare un lavoro ad un membro della famiglia, Tesi di Laurea, Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Relatore, prof. Cesarina Casanova, anno accademico, 2008-2009.
Notizie della terra di Cutigliano e di altri antichi luoghi del Pistojese territorio – Date in luce in forma di dialogo da D. Atanasio Farinati-Uberti Governatore del Collegio Ricci di Pisa, Sebastiano Domenico Cappuri, Lucca, 1739.
Gian Luigi Rapetti Bovio della Torre, Diritto successorio in Monferrato, Vivant: https://vivant.it/2020/03/19/diritto-successorio-in-monferrato/
Rodolfo Renier, Liriche edite ed inedite di Fazio degli Uberti, testo critico preceduto da una introduzione sulla famiglia e sulla vita dell’autore, Firenze, 1883.
Giuseppe Aldo di Ricaldone, Monferrato tra Po e Tanaro, Gribaudo – Lorenzo Fornaca editore, Asti, 1999, v. I e II.
Ferdinando Rondolino, Cronistoria di Cavaglià e dei suoi antichi conti, Torino, 1882.
Giorgio Tibaldeschi, Un inquisitore in biblioteca: Cipriano Uberti e l’inchiesta libraria del 1599-1600 a Vercelli, Bollettino Storico Vercellese, anno 19, 1990.
Roberta Terzi, La narrativa di Teresah, Tesi di Laurea, Università degli studi del Piemonte Orientale, Amedeo Avogadro, Facoltà di Lettere e Filosofia, Relatore, prof. Giuseppe Zaccaria, anno accademico, 2003-2004. La Famiglia Ubertis a Frassineto Po, pp. 10-13.
Eugenio Ubertazzi, Frassineto Po nei tempi, La Cartostampa, Casale Monferrato, 1977.
Pier Felice degli Uberti, I Cavaglià nell’Ordine di Malta, in Nobiltà, n. 32, 1999, pp. 375-378.
Pier Felice degli Uberti, La tradizione dell’origine fiorentina negli Ubertis di Casale Monferrato, in Nobiltà, n. 40, 2001, pp. 581-598-
Pier Felice degli Uberti, La nobiltà e le sue leggi in Monferrato, in Hidalguia, n. 351, 2003, pp. 945-954.
Pier Felice degli Uberti, Appunti genealogici sulla Casata degli Uberti, in Hidalguia, nn. 196-197, 1986, pp. 389-412.

[1] Che recita: “I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome. l’Ordine mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge. La legge regola la soppressione della Consulta araldica”. Si fa presente che i predicati esistenti prima del 28 ottobre 1922 hanno carattere cognomina e non certamente nobiliare.

[2] La nobiltà poteva essere ostentata nella vita quotidiana solo se aveva il pubblico riconoscimento dello Stato.

[3] Fosse solo il diritto di avere apposto il titolo nobiliare sui documenti di stato civile.

[4] Fosse il solo nome e cognome iscritto nel libro della nobiltà pubblicato dallo Stato [nel 1921 venne approvato l’”Elenco ufficiale delle famiglie nobili e titolate del Regno d’Italia”, che riportava vicino al cognome un asterisco se la Famiglia aveva ottenuto il decreto reale o ministeriale di riconoscimento ed erano state inserite nel Libro d’oro della nobiltà italiana (oggi conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma). Con regio decreto n. 1990 del 7 settembre 1933 venne approvato un secondo “Elenco ufficiale della nobiltà italiana” con annesso un elenco dei predicati nobiliari e poi ancora con regio decreto n. 173 del 1º febbraio 1937 venne approvato il supplemento dell’Elenco ufficiale della nobiltà italiana relativo agli anni 1934-1936. Ricordo che gli iscritti negli Elenchi ufficiali nobiliari italiani: 1921-1933 e suppl. 1934-36 se entro tre anni non presentavano la documentazione per l’iscrizione nel Libro d’Oro della nobiltà italiana venivano cancellati dagli stessi; così nell’Elenco del 1933 sparirono molte famiglie non estinte elencate in quello pubblicato nel 1921.

[5] Come è oggi l’abbonamento alla radio-televisione, la licenza di caccia o di pesca, e via dicendo.

[6] Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara la illegittimità costituzionale del R.D. 11 dicembre 1887, n. 5138, del R D. 2 luglio 1896, n. 313, del R D. 5 luglio 1896, n. 314, del R D. L. 20 marzo 1924, n. 442 (convertito con legge 17 aprile 1925, n. 473), del R.D.L. 28 dicembre 1924, n. 2337 (convertito con legge 21 marzo 1926, n. 597), del R D. 16 agosto 1926, n. 1489, del R D. 21 gennaio 1929, n. 61 e del R.D. 7 giugno 1943, n. 651, nei limiti in cui ad essi si dà applicazione per l’aggiunta al nome di predicati di titoli nobiliari anteriori al 28 ottobre 1922 ma non riconosciuti prima dell’entrata in vigore della Costituzione; nonché nei limiti in cui essi sottopongono il diritto predetto e la relativa tutela giudiziaria ad una disciplina diversa da quella disposta dall’ordinamento per il diritto al nome. Così deciso in Roma, nella sede sella Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

[7] Ricordo che non bastava essere l’erede genealogico di un titolo nobiliare per ottenere una sicura successione al titolo, ma era necessaria l’elevata posizione sociale che non creasse disdoro alla nobiltà, ed una ineccepibile moralità, ragione per cui ci sono casi di mancata successione nobiliare nei titoli da parte di varie Famiglie.