Pier Felice degli Uberti risponde:
Non si permetta di fare ulteriori assurde insinuazioni sulla mia persona, come questa ultima, così grave da dipingermi come un criminale che viola i computer altrui: a casa mi hanno insegnato la morale e sono da sempre avvezzo a rispettare la Legge, perciò ritengo che sia giunto il momento di fare un’altra denuncia alla polizia postale, perché ci sono vari reati reiterati (come affermano i miei avvocati).
Penso che si renda conto che mi sta accusando di un reato gravissimo, articolo n. 651 codice penale, ed è giusto che le indagini facciano il loro corso colpendo giustamente il colpevole.
Non dimentichiamo poi il reiterato reato di furto di identità, articolo 494 del codice penale…
Non ho mai violato nessun computer e per me simili cose non sono neppure immaginabili; quando ho problemi uso la Legge e mi rivolgo alle forze dell’ordine che mi hanno procurato già molte soddisfazioni!
Vedo che lei parla al plurale: allude alle sue tante false identità? Oppure a nome di un pool di perdi tempo fissati sulla nobiltà?
In modo legale ho già provveduto a cercare di sapere chi si nasconde dietro il suo anonimato, non ho bisogno di violare la Legge perché è la Legge stessa ad offrirmi tante possibilità: di certo, non è la pazienza a mancarmi e ne aspetterò i frutti…
Quale problema legato alla nobiltà la ossessiona così tanto da non dormire la notte? Intendo dire che il blog con la mia risposta è stato on line verso le 23 del 26 luglio 2022 e lei già la mattina del 27 luglio 2022 alle ore 5,24 mi comunicava la nuova puntata “Una risposta al presidente degli Uberti” mentre io dormivo beatamente.
Sappia che agli occhi dei lettori il mio blog ha semplicemente asfaltato le sue povere insinuazioni diffamatorie, mentre la sua nuova risposta dimostra ancora una volta incompetenza, malafede, volontà di non controllare neppure le fonti suggerite, predilezione per lo stile “chiacchere da bar”, incapacità di produrre anche un solo documento d’archivio a supporto dei pettegolezzi denigratori.
Vedo che lei ha fatto la sua scelta: come tutti avevano previsto (forse sono sempre l’unico a sperare nei possibili ravvedimenti…) lei ha scelto di mantenere l’ANONIMATO, collocandosi con questo suo comportamento nella categoria dei “leoni da tastiera”.
E così si Lè perso l’unica occasione offertale per meritarsi un briciolo di rispetto, considerazione o stima da parte dei lettori.
A questo punto le conviene risprofondare in quelle tenebre ed in quel nulla a lei cari, dove può tranquillamente continuare a nascondere la sua vera identità, le sue reali motivazioni, la sua carenza morale e culturale (quella che la porta ad usare le identità altrui, non provare rispetto neppure per i morti, permettersi di denigrare una persona senza documentare le sue affermazioni lesive), sperando forse di lenire un senso di fallimento della sua vita che non le consente di esibire in pubblico il suo vero volto per confrontarsi onestamente col suo interlocutore.
Non profani la parola “scientifico” per definire le sue – per dirla alla Eco – chiacchere da bar.
Del resto in un raro forzato momento di obiettività, dopo aver visto asfaltate le sue insinuazioni da potenziale studioso, lei stesso ammette di non essere un esperto e definisce le sue discussioni come fatte “per ridere, per scherzare…”, che non è certo il modus operandi di uno scholar, anche se va bene per le chiacchere da bar.
Ma non si dipinga così innocentemente, perché lei ha scelto di mantenere l’ANONIMATO proprio perché è cosciente di compiere degli illeciti desiderando continuare ad infangare impunemente per distruggere la mia immagine di stimato studioso.
Mi permetta qualche commento: dichiarandosi mosso dall’intento di “descrivere l’intero universo dei falsi nobili”, lei indica una lista di nomi di cui intenderebbe parlare ma che nulla hanno a che fare con me. Perché non comincia ad occuparsi dei veri notissimi casi di falsi nobili, oggi accettati come veri nobili da indiscutibili organismi “nobiliari”, persone che furono oggetto anche di pubblicazioni di veri scholar che indicavano le prove della falsificazione, ma oggi figurano in prestigiosi ordini che si dicono nobiliari e compaiono su “private pubblicazioni nobiliari” che vivono proprio di clienti come loro. Magari lei è proprio uno di quelli che vivono guadagnando in questo settore dell’effimero/onirico, o magari uno dei falsari che ho smascherato nel corso dei miei congressi sulle falsificazioni documentali…
Non trovo una motivazione concreta alla sua ossessione sulla nobiltà!
Peccato che lei (non io) non abbia il coraggio di svelarci l’arcano. Comunque poiché nella vita sono ben diverso da lei e non ho tempo da perdere per scrivere romanzi e diffondere ansiosamente on line pettegolezzi da bar, la informo che non intendo dedicare ad un banale calunniatore ANONIMO altro del mio tempo prezioso, solo per dare linfa al suo ego frustrato. Come tutti i lettori onesti, provo naturale repulsione per comportamenti come il suo che non hanno nulla di nobile e pretenderebbero di parlare di nobiltà.
Lei aveva una chance per recuperare un’immagine più dignitosa di quella che si è ritagliato con i suoi poveri comportamenti: uscire alla luce del sole.
Ma lei ha scelto le tenebre. Peccato che “TENEBRAE NON PRAEVALEBUNT”.
Ora mi rivolgo solo ai lettori che l’ANONIMO vorrebbe confondere:
L’ANONIMO al punto 5) è obbligato dal mio asfaltamento a riconoscere di avere “sbagliato”, infatti dice: Abbiamo sbagliato quando abbiamo scritto che, negli anni ‘20, la famiglia Ubertis ha fatto uno sforzo per essere iscritta nel “Libro d’oro della nobiltà italiana”, ma questo sforzo è fallito, a causa della documentazione insufficiente. L’errore è dovuto a una carenza di memoria da parte nostra.
Pier Felice degli Uberti risponde:
Chiarisco ai lettori che l’ANONIMO, dimostrando ancora la sua incompetenza, fa confusione fra il libro dello Stato Civile della Nobiltà Italiana (conservato oggi presso l’Archivio Centrale dello Stato) ovvero il Libro d’Oro della nobiltà italiana, e il Libro d’Oro della nobiltà italiana (allora del Collegio Araldico Romano ed oggi edito dalla Libro d’Oro srl). Prima di parlare bisognerebbe conoscere i testi di cui parla…
L’ANONIMO scrive: Questo sforzo è avvenuto negli anni ‘90 e non è riuscito: la famiglia degli Uberti è elencata nella seconda parte della raccolta, dove sono menzionate le famiglie che aspirano alla nobiltà, ma che non sono state in grado di fornire le prove necessarie.
Pier Felice degli Uberti risponde:
Ennesima affermazione falsa in quanto l’ANONIMO intende il Libro d’Oro della Nobiltà Italiana (edito allora dal Collegio Araldico Romano ora dalla Libro d’Oro Srl). Tutti gli scholar sanno che sino al 1975 erano in Seconda Parte quelle famiglie che non risultavano negli Elenchi Ufficiali della nobiltà italiana (1921-1933.1934-36), i titoli Umbertini, e altre che erano state riconosciute dal Collegio Araldico che svolgeva una attività commerciale (durante il Regno d’Italia provvedeva alla documentazione per il riconoscimento dei titoli nobiliari alla Consulta Araldica – ma questa è un’altra storia).
Poi dopo il 1975 sono state fatte altre scelte e alcuni sono finiti in Prima Parte: i titoli Umbertini, i riconoscimenti del CNI e quelli del SMOM. Quelli che erano già in Seconda Parte sono rimasti lì e si sono aggiunti i membri del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio (ramo francese e ramo spagnolo). È interessante sapere che il passaggio dalla Prima alla Seconda Parte (andata e ritorno) era divenuto normale (famiglie della Seconda passavano in Prima e anche dalla Prima in Seconda).
La mia Famiglia è iscritta in Seconda Parte per l’ammissione nel Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio (Spagna) in categoria nobiliare, il Collegio Araldico non ha mai controllato la documentazione della mia Famiglia e perché poi avrebbe dovuto farlo? In quegli anni ero il Segretario Generale della Junta de Italia dell’Asociacion de Hidalgos a Fuero de España in contrasto (leggi guerra) con il CNI (dal cui Circolo Giovanile ero uscito insieme ai miei amici Giovanelli, Biandrà di Reaglie, Cavazzoni Pederzini, de Portis degli Schiavoni ecc.)
La prova nobiliare della mia Famiglia è pubblicata dalla Real Asociación de Hidalgos de España – RAHE (dove le prove di ammissione dei membri sono sempre aperte, il che vuol dire che se venisse scoperto un documento falso la persona verrebbe cacciata dall’Associazione con ignominia), la stessa usata per il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio (Spagna), le cui prove nobiliari negli anni ‘80 erano molto più rigorose di oggi, ed aggiungo ancora che è la stessa prova utilizzata per l’ingresso nel Real Cuerpo de la Nobleza di Madrid (la prima corporazione nobiliare di Spagna).
Chi ha letto quanto scrivo nel precedente articolo sa bene che per me ha valore solo il libro che pubblicava lo Stato, ovvero l’Elenco Ufficiale della nobiltà italiana, e quindi figurare nella prima, seconda o centesima parte del Libro d’Oro della Nobiltà Italiana (edito allora dal Collegio Araldico) per me è irrilevante, trovando comunque comodo comparire in un carnet mondaine, che è l’unica pubblicazione nata durante il Regno d’Italia che abbia mantenuto gli stessi criteri e goda di una indiscussa serietà. In questo modo i miei amici potevano vedere lo stato civile legato alla mia famiglia.
L’ANONIMO vorrebbe una risposta al punto 8, ma l’avrebbe ricevuta solo se avesse avuto il coraggio di un confronto on line usando la sua vera identità come da mio invito.
In ogni modo mi rivolgo esclusivamente ai lettori per commentare che se l’ANONIMO avesse letto bene quanto ho già scritto, avrebbe trovato la risposta alle sue assurde affermazioni, particolarmente sul Consortile dei Conti di Cavaglià, e se avesse consultato le pubblicazioni da me suggerite avrebbe visto chi era realmente Antonio de Ubertis (morto nel 1573), che puerilmente pensa di denigrare definendolo erroneamente “popolano” (come certe persone che, dimenticando magari la propria condizione sociale infima, si ergono a giudici degli altri).
L’ANONIMO dimostra ulteriormente la sua ignoranza per non conoscere che all’epoca il “nobile” non aveva lo stesso significato che ebbe durante il Regno d’Italia (quando fu codificato dalla Regia Consulta Araldica), ma veniva attribuito in varie forme di trattamento alle persone nobili, e aggiungo che non esistono famiglie nobili che in tutti i documenti abbiano il trattamento nobiliare ad eccezione delle falsificazioni genealogiche. Ma queste cose le conoscono solo i veri scholar che frequentano gli Archivi e non quelli che si permettono di parlare senza alcuna preparazione mossi solo dall’intento di discreditare.
In conclusione anche in questa sua nuova risposta l’ANONIMO evidenzia ulteriormente incompetenza e grave malafede per un poco chiaro interesse denigratorio nei confronti miei e dei miei Antenati, che desidera tenere nascosto.
Pier Felice degli Uberti